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INTERVENTO DEL SEGRETARIO GENERALE FANIA SULLA SICUREZZA SUL LAVORO

La morte di Francesco lascia sgomenti; tutte le morti bianche sono tremende, ma questa, in qualche modo, risulta ancor più intollerabile, persino odiosa. Siamo di fronte ad un ragazzo che non c’è più, un giovane che, come molti suoi coetanei, che non fanno notizia nelle cronache di tutti i giorni, studiava ed al contempo lavorava, rappresentando la meglio gioventù di cui questo Paese ha disperatamente bisogno. E’ ovvio che non esistono morti di serie A o B, specialmente sul lavoro, ma sicuramente la scomparsa prematura di un ragazzo scuote la coscienza. Oggi, a pochi giorni da una tragedia tanto dolorosa, le frasi di rito non servono; serve, invece, accanto alla piena solidarietà riservata alla famiglia della vittima, trovare il tempo per riflettere ancora una volta sul tema della sicurezza.
Le statistiche ci dicono che, anche in Friuli Venezia Giulia, gli infortuni sul lavoro sono diminuiti. Dal punto di vista numerico è senz’altro così, tenuto conto, però, che il calo è fortemente condizionato dall’andamento della crisi; ovvero, tenuto tenuto conto che oltre 70mila persone sono state, tra cassa integrazione e mobilità, espulse dal mercato del lavoro, con la conseguenza che la drastica riduzione degli occupati, e del lavoro straordinario (che registra la percentuale più elevata di vittime), ha inevitabilmente prodotto una sensibile flessione degli incidenti.
Ma al di là dei numeri, la realtà è ben diversa: siamo ancora lontani dal far sì che la sicurezza sia un fatto culturale diffuso ed acquisito. In questi anni molto è stato fatto, ma evidentemente non ancora abbastanza per contrastare un fenomeno non sempre legato alla mera fatalità. Occorre rendere ancor più stringenti e severi i controlli; ma soprattutto scommettere con più determinazione (e risorse) sulla formazione culturale dei lavoratori. E’ necessario, cioè, perseguire la via che coniuga alla vigilanza costante una forte trasmissione del concetto di autotutela. Vale a dire che obiettivo della scuola, ma anche di chi ha maturato esperienza sul campo deve essere quello di rafforzare, specialmente nei lavoratori più giovani, la consapevolezza che la salvaguardia della propria vita è priorità, fatto essenziale su tutti. Ognuno deve essere consapevole che utilizzare i dispositivi di sicurezza, infilarsi un caschetto o legarsi non è qualcosa che ostacola il lavoro, ma qualcosa che fa parte del lavoro. Questa è la cultura della prevenzione sui cui bisogna puntare. E in questo può fare molto anche la contrattazione di II livello, prevedendo incentivi economici alla sicurezza, ovvero premiando, in termini retributivi, i lavoratori e le aziende attente. Insomma, la sicurezza deve essere un vantaggio per tutti.
Tuttavia urge – e la triste vicenda delle cinque ragazze di Barletta ce lo ricorda, semmai ce ne fosse bisogno – porre grande attenzione, anche in termini di controllo, sia sulle sacche di lavoro nero, ovvero su quegli spazi di sfruttamento dell’operato altrui dove la sicurezza, anche basilare, risulta totalmente esclusa, sia sugli appalti. E rispetto a questi ultimi, va sollecitata la Regione affinchè accelleri sulla elaborazione del Testo Unico per ristabilire delle regole "leali". Il vero problema, infatti, riguarda le procedure al massimo ribasso, che penalizzano le imprese oneste, lasciando ampi margini anche all’illegalità o comunque alle condizioni di sfruttamento che poi degenerano nell’insicurezza. Occorre per tanto anche in questo ambito una nuova cultura della trasparenza, che faccia leva sulle linee guida dell’Unione Europea che invita a far proprio il criterio delle procedure negoziate.